domenica, giugno 24, 2007

Una scossa alla sinistra dal sindaco d'Italia di EUGENIO SCALFARI L'ULTIMO episodio politico in ordine di tempo è stato l'affondo della sinistra radicale contro Padoa-Schioppa, contenuto in una lettera a Prodi firmata da quattro ministri: Ferrero, Mussi, Bianchi e Pecoraro Scanio. Il segretario della Cgil l'ha commentata con queste parole: "A me pare che nel governo ci sia un problema che riguarda proprio lui (Padoa-Schioppa). L'impressione è che abbia tutti contro, anche l'Associazione dei Comuni protesta contro di lui. Io fin dall'inizio ho avuto la sensazione che lui non volesse l'accordo con noi. La ragione non l'ho capita, ma non credo che sia solo tattica". In realtà la sensazione che abbiamo avuto in molti fin dall'inizio è esattamente l'opposto: che fosse Epifani a non volere l'accordo sulle pensioni e mirasse - fin dall'inizio - a un collateralismo inedito tra Cgil e Rifondazione comunista. Assolutamente inedito: la Confederazione del lavoro esiste da un secolo e non è mai stata alleata con la sinistra massimalista. Se collateralismo c'è stato - e c'è stato - la sponda politica si è costituita con i riformisti del Partito socialista e poi con i riformisti del Pci. Il connubio di queste ultime settimane rappresenta dunque un'anomalia nella storia del maggior sindacato italiano e si può spiegare soltanto con il tentativo di Epifani di riassorbire il sinistrismo radicale della Fiom. Con la conseguenza di scaricare sull'intero mondo del lavoro un conflitto interno alla sua organizzazione e di coinvolgervi la stessa sopravvivenza del governo nazionale. E' augurabile che la tempesta sia superata nella prossima riunione. Probabilmente la soluzione "tecnica" sarà quella di sostituire lo "scalone" con un solo scalino e poi con le "quote". Il linguaggio è cifrato ma significa alzare gradualmente l'età pensionabile adottando una cifra che sia la somma tra l'età e il numero delle annualità contributive versate. Se la quota prescelta fosse per esempio 96 e se le annualità contributive versate fossero 35, si andrebbe in pensione a 61 anni ma anche a 56 anni se i contributi versati fossero 40 invece di 35. Questo tipo di approdo ha comunque un costo che il Tesoro stima in 1.2 miliardi da aggiungere a quelli già previsti fin dall'inizio del negoziato con le parti sociali. E questi sono i soldi aggiuntivi che Prodi sta chiedendo a Padoa-Schioppa. Il ministro del Tesoro probabilmente li troverà, almeno per i primi due esercizi, 2008-2009. Oltre quella data il problema traslocherà dalle spalle di Prodi a quelle di Veltroni poiché tutto fa pensare che in quel momento saremo in piena campagna elettorale. Accetterà la Cgil questa soluzione "tecnica"? Oppure si limiterà a riaffermare che lo "scalone" previsto dalla legge Maroni deve essere abolito, punto e basta, facendosi risucchiare dalla sinistra radicale? Per certi aspetti Epifani ricorda Montezemolo. Il segretario della Cgil vuole riassorbire l'estremismo della Fiom ma rischia d'esser lui riassorbito dal movimentismo dei metallurgici. Simmetricamente Montezemolo vorrebbe riassorbire l'estremismo delle piccole imprese - lo spirito di Vicenza - ma finora è lo spirito di Vicenza che ha riassorbito Montezemolo. Quanto alla sinistra radicale, essa sta giocando sul terreno dei temi sindacali una partita eminentemente politica: la candidatura di Veltroni alla leadership del Partito democratico ha spiazzato molte posizioni, a destra, al centro, a sinistra. Ha spiazzato Berlusconi, Casini, Rutelli, Fassino e anche tutta l'ala radicale dell'Unione. Un partito riformista proiettato verso l'obiettivo del 35 per cento dal consenso elettorale, con un bacino potenziale che potrebbe arrivare addirittura al 40 preoccupa molto l'area che va da Mussi a Rifondazione comunista. Di qui la necessità di battere un colpo ed acquistare una visibilità notevolmente offuscata, come hanno dimostrato le recenti elezioni amministrative. Il tema delle pensioni e delle risorse da destinare al potere d'acquisto dei redditi meno abbienti rappresenta il terreno ideale per un tentativo di riconquista del cosiddetto movimento. Ecco la non recondita ragione per la quale lo scontro tra il ministro del Tesoro e sinistra radicale e sindacale ci conduce ad esaminare la scesa in campo di Walter Veltroni e gli effetti che fin d'ora ne derivano. * * * Una volta tanto cominciamo dagli effetti anziché dalle cause. Sono sotto gli occhi di tutti: la sua candidatura ha rincuorato una parte notevole dei "disincantati" del centrosinistra, quella massa di elettori dell'Ulivo che nelle recenti amministrative hanno preferito disertare le urne per mandare un segnale senza con questo passare all'antipolitica o addirittura dall'altra parte dello schieramento politico. La scossa è stata forte, il segnale è arrivato. Si poteva temere che l'annuncio della candidatura di Veltroni non fosse sufficiente a scuotere l'apatia dei "disincantati". Invece l'atmosfera politica è cambiata di colpo. Si direbbe che i "disincantati" non aspettassero altro. Gli ultimi sondaggi registrano un salto di dieci punti nelle intenzioni di voto in favore del nascituro Partito democratico, dal 25 al 35 per cento con l'Unione che ha di nuovo superato lo schieramento di centrodestra. Riemerge con gran forza il problema se, nelle nuove condizioni, sia ancora ripresentabile la candidatura di Berlusconi. La nuvola di tempesta tende ora a spostarsi verso Arcore e questa è un'altra novità. Gli scettici ad oltranza concentrano le loro critiche sull'eccesso di unanimismo che attornia il sindaco di Roma, propostosi come sindaco d'Italia. Secondo loro le primarie che si terranno il 14 ottobre per eleggere il leader del Partito democratico e nello stesso tempo i delegati all'Assemblea costituente che dovrà dare forma e struttura al nuovo partito, si trasformeranno in un plebiscito. Sempre secondo loro il plebiscito non serve a costruire una leadership. In teoria hanno ragione ma in pratica hanno torto. Non considerano che un plebiscito non è neppure pensabile se una leadership non esiste già. Il plebiscito non è che la ratifica popolare d'una leadership già esistente, che è appunto il caso di Veltroni. Ancora una volta D'Alema l'ha capito per primo ed è lui che ha fatto la prima mossa per disincagliare il Partito democratico dalle secche in cui si era arenato. Probabilmente altre candidature ci saranno alle primarie del 14 ottobre, ma serviranno soltanto a posizionare alcune correnti all'interno della Costituente. Operazione rischiosa, con la testa rivolta all'indietro verso ricordi identitari e ideologie che il nuovo partito dovrebbe invece superare. Del resto il tandem Veltroni-Franceschini è già una risposta al pericolo di perpetuare la distinzione tra Ds e Margherita. E' un tandem messo in campo proprio per superare quella dicotomia originaria, non certo per perpetuarla. Un tandem operativo e non ideologico. Qualcuno ha scritto che con Veltroni si passerà dalla politica degli "aut-aut" a quella degli "et-et", cioè dall'ideologia al pragmatismo delle cose da fare. Mi sembra che questa formulazione sia appropriata al tandem Veltroni-Franceschini. Ed è quella di cui il paese ha bisogno. Dico tuttavia che questa strategia degli "et-et" non è affatto lontana da quella che sempre è stata auspicata e praticata da Prodi. Eppure Prodi è avvolto da una nube di ostilità mentre la popolarità di Veltroni si trova al culmine dei consensi. Come mai? Capacità di comunicazione a parte, come mai? Ecco una bella domanda cui rispondere. * * * Secondo me la risposta è molto semplice. Prodi, uomo senza partito, è stato il candidato d'una coalizione di partiti ormai arrivati al capolinea, indipendentemente dalla loro storia, dalla qualità morale e intellettuale dei loro dirigenti, dal loro radicamento sul territorio. Nessuno di quei partiti aveva più un orizzonte davanti a sé, nessuno poteva illudersi di creare un orizzonte nuovo e perseguirlo da solo. Da solo poteva soltanto immaginare che portare avanti lotte di potere, complicate ipotesi di nuovi schieramenti, scomposizione e ricomposizione di sigle e correnti o infine - per quanto riguarda i piccoli e piccolissimi - il ricatto di mandare in crisi il governo data la scarsissima maggioranza al Senato. Quindi ricerca perenne di visibilità, perenne litigiosità all'interno della maggioranza e del governo, discredito sempre più diffuso nella pubblica opinione. Di tutto ciò Prodi ha pagato il conto, ma non lui soltanto; l'ha pagato l'intera coalizione in quanto tale e quindi la governabilità del paese. Questa classe di governo ha comunque prodotto, nonostante le difficilissime condizioni esistenti e in larga misura auto-create, alcuni risultati positivi che emergeranno se e quando il polverone che staziona da tempo sull'operato del governo si dissiperà. Continuo a pensare che la Finanziaria del 2007 sia stata importante per aver rimesso in piedi la finanza pubblica, avere incentivato la produttività delle imprese con lo sgravio dell'Irap, avere avviato una politica di redistribuzione che ora dovrebbe passare da un livello simbolico ad un livello effettivo. Infine questa classe di governo "moritura" (come i "morituri" di Palazzo Carignano, il vecchio Parlamento piemontese che proclamò la nascita dello Stato italiano) ha immaginato e perseguito la creazione del Partito democratico affrontando il giudizio di una platea di elettori nuovi, attivi, decisi a superare e anzi a sotterrare le vecchie nomenclature. Ne va dato merito a entrambi i gruppi dirigenti dei due partiti promotori e in modo particolare a Fassino e a Rutelli. Resta una domanda: riguarda il paese, la sua fibra morale, la sua passività e reattività. Finora le prove non sono state esaltanti. Potranno migliorare? * * * Si è sempre detto che in democrazia si possono cambiare e alternare i gruppi dirigenti, ma non si può chiedere al popolo di dimettersi. Ovviamente è così. Ma che cos'è il popolo se non la sua classe dirigente nel senso più ampio del termine: politici, amministratori, imprenditori, intellettuali, ricercatori, professionisti, scuola, Università? Si dice anche: ogni popolo ha la classe dirigente che si merita, ma questo è sbagliato. Questo modo di dire va capovolto: ogni classe dirigente ha il popolo che si merita. Se il popolo si comporta male rispetto alla responsabilità del proprio presente e del proprio futuro, dipende dal fatto che la classe dirigente non fornisce l'esempio dovuto. Nella storia è sempre stato così e penso proprio che sempre così sarà. La classe dirigente italiana, salvo brevi intervalli e poche luminose figure, ha avuto scadente qualità. Il trasformismo del piccolo cabotaggio è stato pratica diffusa e così la corruttela politica, la cupidigia, l'esercizio del potere usato prevalentemente per mantenere il potere, la mancanza di carattere, il servilismo e il ribellismo a corrente alternata. L'impunità. Questi difetti sono presenti in tutte le classi dirigenti, non si può infatti immaginarne una composta di angeli o di filosofi stoici. Platone la vagheggiò. Marc'Aurelio altrettanto. Ma si sa come finirono quelle utopie. Il guaio accade quando quei difetti fisiologici diventano patologia. In Italia questa discesa di livello è avvenuta più spesso che altrove ed ora il compito che incombe soprattutto ai giovani è di ricondurre la qualità della classe dirigente e i suoi difetti nell'ambito della fisiologia, di modo che possano anche rifulgere le qualità che certamente essa possiede. * * * I difetti e le patologie dei politici le conosciamo ampiamente. Non si fa che discuterne da tempo. Non abbastanza, secondo me, quelle di altri settori della classe dirigente. Penso per esempio alla questione delle tasse che da anni infiamma l'Italia. So bene di toccare un nervo scoperto, ma che altro sarebbe la professione che faccio se non quella di toccare i nervi più sensibili per capire la natura di ciò che avviene? Le tasse. Sono troppo alte. Tutti lo sanno e lo dicono. Le spese sono troppo alte, tutti lo sanno e lo dicono. L'evasione fiscale è troppo alta, tutti lo sanno e lo dicono. Padoa Schioppa e Visco (i due nomi più impopolari d'Italia) l'hanno quantificata sulla scorta dei dati Istat: 100 miliardi di imposte evase, più di 300 miliardi di imponibile che sfugge al fisco. Tutti sono d'accordo di combatterla. Da qualche parte l'evasione starà. Ebbene, l'evasione sta dovunque l'imposta non sia trattenuta alla fonte. Non dico con questo che i lavoratori dipendenti siano dei santi. Dico che il reddito da lavoro dipendente è il solo che non sfugge e non può sfuggire. I lavoratori dipendenti sono 20 milioni di persone. I pensionati sono 16 milioni. Il lavoro autonomo in tutte le sue forme occupa 4 milioni di persone. Anche i lavoratori dipendenti e i pensionati spesso fanno doppio lavoro e il loro secondo lavoro assume forme autonome o addirittura sommerse. Queste sono le quantità ed è ovvio che l'evasione sta interamente nei redditi che non hanno un sostituto d'imposta. Dove si deve cercare allora l'evasione? Sulla luna? Negli scorsi giorni non ho trovato un solo giornale che aprisse la prima pagina sulle dichiarazioni dei redditi autonomi pubblicate dall'Istat. Salvo due volte "Repubblica" e una volta "La Stampa". Grandi titoli invece alle proteste (e i fischi al governo) dei commercianti, degli artigiani, dei professionisti. Le tabelle dei ridicoli redditi dichiarati nelle pagine interne, i fischi in prima pagina e spesso in apertura di pagina. Poiché faccio questo mestiere auspico che anche i giornalisti, che fanno parte anch'essi della classe dirigente, correggano alcuni dei loro evidenti errori e non soltanto gli errori degli altri. Sparare la notizia dell'uomo che morde il cane è sacrosanto ma quali sono l'uomo e il cane della metafora? Bastonare sempre e comunque il governo non è più una notizia. Bastonare la politica e gli uomini politici non è più da tempo una notizia. Bastonare il cane che affonda è semplicemente sadismo (metaforico). Perciò io continuo a difendere Prodi, Padoa Schioppa e Visco. E Bersani. Poiché fischiarli è ormai come un cane che morde l'uomo, io mi metto nell'angolo opposto. Del resto i buoni giornalisti hanno sempre fatto così. (24 giugno 2007)