lunedì, marzo 26, 2007

L'amministrazione americana trattò in Iraq con i ribelli. A rivelarlo è l'ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq, Zalmay Khalilzad che ha «confessato» al New York Times di aver incontrato rappresentanti di gruppi insorti sunniti iracheni in vista della formazione del governo dopo le elezioni parlamentari irachene del dicembre 2005. «Ci sono state discussioni con i rappresentanti di vari gruppi dopo le elezioni e durante la formazione del governo, prima dell'episodio di Samarra (l'attentato compiuto da terroristi sunniti al santuario sciita della Moschea d'Oro nel febbraio 2006, che ha inasprito il conflitto fra sciiti e sunniti, ndr), e anche alcuni incontri in seguito», ha detto Khalilzad al quotidiano statunitense - leggibile nell'edizione online - dalla sua residenza nella Zona Verde di Baghdad. E' la prima volta, sottolinea il giornale americano, che un responsabile dell'amministrazione statunitense afferma pubblicamente di aver avuto colloqui con quelli che il quotidiano Usa chiama "insurgents": ribelli, insorti, terroristi, resistenti. Questi incontri sono cominciati all'inizio del 2006 e sono stati i primi tentativi di ottenere contatti permanenti tra gli alti responsabili americani a Baghdad e gli insorti sunniti. L'ambasciatore Zhalilzad, che a giorni lascerà Baghdad per diventare il prossimo rappresentante degli Usa alle Nazioni Unite, andò in Giordania, rivela il New York Times, per aver dei colloqui con i rappresentanti di due influenti fazioni nazionaliste: quelli dell'Esercito Islamico dell'Iraq e delle Brigate Rivoluzionarie 1920. Ma sugli incontri il diplomatico preferisce non entrare nei dettagli. Mentre altri ufficiali Usa in Iraq, che preferiscono l'anonimato, racconta il Nyt, ammettono di essere venuti a conoscenza di colloqui con alcuni rappresentanti degli insorti addirittura nell'autunno del 2005. E i gruppi contattati, a differenza di al Qaida in Mesopotamia e di altre sigle, sono iracheni, non hanno capi e combattenti stranieri. L'apertura di Khalilzad agli insorti, nota il giornale, sembra contraddire con la posizione ufficiale dell'amministrazione Bush, che fa professione di intransigenza e sposa la line della non trattativa, e non è chiaro se l'ambasciatore abbia chiesto l'autorizzazione a Washington per condurre i colloqui, improntati, nota il New York Times, al senso di realismo e flessibilità, finalizzati a calmare la violenza. Khalilzad nell'intervista, facendo prova di pragmatismo, ribadisce la sua posizione favorevole ad un'amnistia per gli insorti, che - annuncia - verrà fatta dal governi iracheno e statunitense. I contatti ebbero però alla lunga l'effetto di accrescere la tensione con gli sciiti, che accusarono Khalizad di essere intimamente filo-sunnita in quanto di origini afghane. Ed inoltre non ebbero l'effetto sperato di calmare la violenza settaria: «Credo che non è andata come avremmo voluto», dice al Nyt Khalilzad, aggiungendo che «secondo me il fattore che ha complicato il tutto sia stata l'intensificazione della violenza settaria, in particolare dopo Samarra». EH EH EH IO